UN'INTERVISTA ZOPPICANTE
A dicembre dello scorso anno, è stato pubblicato il mio primo libro che si intitola “Autobiografia del coraggio”.
A distanza di quattro mesi, ieri ho partecipato alla prima intervista organizzata dalla casa editrice dedicata al manoscritto. Purtroppo, in questo momento storico, le restrizioni hanno colpito anche il mondo della scrittura togliendo la possibilità di organizzare le presentazioni delle opere nelle librerie, le fiere del libro e tutti quegli eventi su cui si basa il settore. Per questo ho accettato di essere presente e partecipare alla registrazione di ieri nonostante fosse necessario recarmi a Roma in giornata per un impegno che durava solo pochi minuti.
Prima o poi ci saranno delle occasioni più importanti e credo sia meglio essere pronta per affrontare quelle chance con un po’ di esperienza. Ogni occasione buona per imparare qualcosa di nuovo, non voglio mi sfugga ma intendo viverla con la gioia della scoperta.
Durante il viaggio mi sono domandata se sarei stata intervistata da qualcuno che aveva letto il mio libro oppure ne conosceva solo l’argomento a grandi linee. È stata una domanda che ha ricevuto presto risposta.
Arrivata allo studio editoriale, mi sono avvicinata alle persone che attendevano all’esterno e, man mano che gli autori che avevano già registrato uscivano, qualcuno ci faceva entrare, uno alla volta, per non superare il numero massimo di presenze. Così ci siamo trovati all’interno solo in cinque o sei a firmare le liberatorie e le autocertificazioni di rito.
È iniziata la prima intervista e l’autrice ha scambiato due parole con l’intervistatore prima delle riprese.
L’argomento trattato dal libro è una storia d’amore nata in una balera tra due persone “grandi”, lui descritto come un uomo molto affascinante e la protagonista una donna indipendente. L’autrice ha fatto riferimento alla connessione che si può creare tra due sconosciuti che ballano per la prima volta insieme. Quanta emozione ha provato quella signora nello spiegare, ha faticato a rispondere alle domande e la conversazione è stata difficoltosa, forse non solo per le telecamere accese. Si sentiva un po’ di imbarazzo scomparso poi al termine delle riprese.
La registrazione successiva è stata molto più fluida e snella. Il libro raccontava di un gioco nato tra l’autrice e la sua nipotina, ma poi sviluppato nero su bianco durante il lockdown; un gioco per viaggiare con la fantasia adatto a bimbi e adulti spiegato in un libricino che funge da manuale.
Io, dall’ultima fila, ho ascoltato tranquillamente le domande.
Prima di me, il turno di una ragazza autrice di un libro in cui la protagonista faceva un’esperienza di vita all’estero. Anche lei si è trovata subito in difficoltà tanto da fermare le riprese per pensare alle risposte da dare, più volte. Mi sono sorpresa di quel disagio forte per tutto il tempo.
Finalmente fu il mio turno.
Ho raggiunto la postazione, preso il microfono e fatto due chiacchiere sulla copertina col conduttore.
_“…ma è dei nostri grafici?” mi ha domandato
_“no, è del mio grafico”,
_“ah ecco, mi sembrava! Ma anche la foto sembra fatta da un fotografo professionista!”
_“Infatti! Un fotografo decisamente professionista” e ho sorriso pensando ad Omar e Matteo e al loro bellissimo lavoro.
Poi inizia a parlare dell’intervista e mi dice che è un argomento difficile per cui le domande sarebbero state pesanti e mi chiede subito se io “parlo” con mio figlio. Che strana domanda… Credo di aver alzato entrambe le sopracciglia di qualche centimetro. Gli ho risposto che sono “conversazioni” che capitano talvolta e lui incalza affermando che io ho vissuto la tragedia peggiore che una persona possa vivere e altre frasi del genere.
Lo guardo negli occhi e gli intimo con aria decisa:
_“Non farmi mica piangere!”.
Probabilmente è quello che voleva ma non quello che volevo io.
Iniziamo la registrazione ed è subito chiaro che vedeva il mio libro per la prima volta e aveva programmato probabilmente una presentazione triste e tragica di una donna oramai avanti con gli anni (così ha detto lui mantenendo gli occhi bassi) che si trova a ricominciare da capo.
_“A ricominciare da capo?” gli ho chiesto.
_“Io non ho ricominciato da capo”. Mi sarei dovuta risposare e fare un altro figlio per ricominciare da capo! _“invece mi sono trovata scaraventata in una situazione terribile, vedevo la mia vita come fosse un film…” e ho proseguito con la spiegazione.
Non mi è piaciuta molto come intervista.
Verso la fine mi ha domandato:
_“Come fanno i lettori a conoscere un po’ di più tuo figlio leggendo il libro?”
Io mi sono portata un po’ avanti col busto, verso di lui e gli ho detto:
_“Non sono mica capace di risponderti!” e i suoi colleghi sono scoppiati in una fragorosa risata!!
Insomma, il tipo non era “collegato” con me ma si preoccupava esclusivamente di fare il figo, diciamo la verità.
Non era concentrato sull’esaltare il lavoro dello scrittore aiutandolo a dare il meglio nella presentazione della sua opera ma si preoccupava solo di escogitare delle domande alternative dall’aria artistica. Si è comportato come un ballerino di tango che si preoccupa solo di dare dimostrazione della sua bravura anziché ballare per creare connessione con la dama.
E allora, questa prima esperienza è stata un po’ zoppa, diciamo così, ma pur sempre molto utile: una dimostrazione di quanto sia sbagliato lasciare nelle mani degli altri le cose che sono importanti per me.
Ora sono pronta per le prossime presentazioni: bisogna fare di ogni esperienza un tesoro.
Alla prossima!